Aiutare gli altri è anche una questione di percezione

Hai mai pensato che a volte il problema nell’aiutare gli altri è anche una questione di percezione? Al di là della volontà da parte di chi si offre a dare e da parte di chi lo riceve, conta dove si trova l’uno e l’altro. Talvolta si crea una sorta di impedimento tecnico, un ostacolo che non permette di vedere, di percepire la situazione dell’altro. Mi spiego con una metafora.

Immagina di essere un amante della montagna e proponi un giorno ad un amico, diciamo “poco dinamico” e “pigrottino”, di andare in escursione in montagna; lui accetta e ora state risalendo un versante irto.

Ad un certo punto la pendenza diventa tale che vi dovete aiutare con le mani per proseguire, agganciandovi sugli spuntoni di roccia e spingendovi alternativamente con i piedi. Tu sei più avanti, più un su, prosegui spedito perché conosci il percorso, sei allenato e sei focalizzato sulla meta che già pregusti(paesaggio mozzafiato, soddisfazione di essere arrivato e paninazzo con bibita fresca).

Lui invece comincia a imprecare: “Ma chi me l’ha fatto fare! Perché ti ho dato retta!” E ti grida di aspettarlo. Allora, un po’ spazientito, torni sui tuoi passi e gli allunghi una mano. Dall’alto della tua posizione (sottolineo dall’alto) tenti di spronarlo e incoraggiarlo. “Dai, è facile, metti una mano lì e un piede là”. Ma lui non sembra o non vuole capire. “Alla destra per me o per te?… Questo o quell’arbusto?… Quale sasso?!”. Cominci a chiederti se gli interessi veramente arrivare in cima.

A questo punto, però, fermiamo la scena e ti pongo queste domande:

  • Cosa rappresenta l’escursione per te? E per lui?
  • Come sta vivendo lui la risalita?
  • Quali ricordi, sensazioni rievoca questa esperienza (fiducia, gioia, successo, sfiducia, sofferenza, ecc…)Aiutare gli altri: anche una questione di percezione
  • Su quali convinzioni lui può fare affidamento per affrontare questa sfida?
  • Quali emozioni sta provando? Quali sensazioni fisiche e quali pensieri?

Probabilmente non saprai rispondere a queste domande.

Riprendiamo.

Mosso da sovrumana compassione, decidi di scendere al suo livello (il termine vale anche dal punto di vista psicolgogico) e…

Finalmente vedi ciò che vede lui. Ti sei calmato, sei più ricettivo e disponibile e ti rammenti che siete diversi. Ti sembra una considerazione ovvia? Nient’affatto. Quella che per te è un’escursione facile, una passeggiata, per lui è una scalata sull’Himalaya.

Ti rendi così conto che, in effetti, lui ha scelto un passaggio differente dal tuo e qui la situazione è più complicata. Concludi che anche tu ti saresti trovato in affanno, ma grazie alla tua esperienza, avresti cercato subito un altro punto di accesso.

Ora che sei più propenso ad ascoltare e quindi a osservare, gli guardi le suole delle scarpe: sono superslick, perfette solo per la pista da bowling! Fin troppo bravo a essere arrivato fin qui, pensi.

Infine, nel tentativo di mostrargli come afferrare una roccia, ti rendi conto che il tuo braccio è 10-15 cm più lungo del suo. “Eh, no, se fossi al tuo posto cercherei un altro appiglio”.


Narrai questa storiella a un giovane adulto che mi aveva confidato che la fidanzata non ascoltava mai i suoi consigli. Aggiunsi che talvolta aiutare gli altri è anche una questione di percezione. Quindi gli chiesi:

  • “Quando vuoi aiutarla, scendi di livello e cerchi di comprendere quello che lei percepisce (vede, sente, prova, pensa)?

Quando vuoi aiutarla, scendi di livello e cerca di comprendere quello che lei percepisce

Per la mia esperienza, quando impariamo a scendere di livello con gli altri, ovvero proviamo a portarci sullo stesso piano, non solo diventiamo più tolleranti nei loro confronti, facilitando il processo di accettazione della difficoltà e predisponendo la mente al cambiamento, ma diventiamo più tolleranti anche verso noi stessi. Perché cambiare non è sempre(?) facile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *